La danza circolare degli Acta Johannis


Le ricerche di Cross vogliono avere la forza di spaziare fra i luoghi e i linguaggi per trovare l’essenza , quella scintilla di trascendenza nella danza , di collegamento con l’oltre, che nasconde il movimento quando si innalza.

Allo stesso modo di come certe discipline orientali , come per esempio lo Yoga, che in sanscrito significa “unione”,  si ergono a farsi collegamento fra terra e cielo, così la danza a nostro avviso, nei momenti più intensi, diventa un ponte. Magari a prescindere dalle intenzionalità dell’artista.  L’arte come l’apertura di un varco.

A volte accade semplicemente, senza intenzione, quando la danza in alcuni momenti prende un colore più vivido, vicino a quello che i ballerini di flamenco e i toreri chiamo duende: una forza inspiegabile nascosta nel movimento, che si accende. L’incanto, che, quando si fa’ davvero vivido, diventa collegamento con l’eterno e, quindi, perfezione. Come se la danza prima di arrivare a quell’istante  fosse stata un insieme di tentativi per trovare quell’unica nota perfetta. Ogni tanto, accade. Allo stesso identico modo con cui a volte nello Yoga, con la posizione raggiunta in modo completo e armonioso da parte del praticante , l’interiorità risuona col corpo, entrando in armonia con esso,  tanto che alcuni insegnanti di questa disciplina,   a proposito dell’esecuzione corretta delle posizioni, dette Asana, il cui nome significa “posizione comoda”, parlano proprio di “trovare la nota”.

Le ricerche contemporanee sono piene di questi episodi. Intendiamo qui per ricerche, quelle ricerche artistiche in seno alla danza  occidentale, la danza vicina alla Performing Art, senza regole accademiche, intesa come movimento che libera, che fa’ volare, che apre le porte all’io autentico oltre il logos. Oltre l’ego. Ovvero la danza quando si  innalza, quando fa’ alzare la testa e le braccia verso il cielo e diventa una preghiera. Magari senza esplicitamente dichiarasi tale. Quando il gesto che, da normale, anela a diventare trascendente.

Così, la redazione di Cross,  sulla scìa dell’entusiasmo di approfondire questi aspetti, è andata a cercare  i momenti della Storia in cui la danza si è letteralmente mischiata al Sacro, in cui le preghiere, invece di essere state dette, sono state danzate. Momenti rammentati nelle Scritture ufficiali  e momenti in cui la letteratura, più o meno accertata, come nel caso che tratteremo fra poco, racconta addirittura di Maestri spirituali che hanno danzato. Argomento affascinantissimo.

Abbiamo spaziato fra le tradizioni. A cominciare dall’induismo, più vicino a queste espressioni.  In vari testi come i Bhagavata Purana o la Gita Govinda, Krishna, l’Avatar del Dio Supremo, è descritto come figura danzante, che incarna quella che si potrebbe chiamare una sorta di  gioia di esistere. Quella gioia pura, che per certi aspetti nella cultura occidentale è stata ripresa dai passi liberi di Isadora Duncan, quando danzare significava semplicemente essere, in una sorta di spontaneità che come hanno detto tanti Maestri spirituali bisognerebbe saper imparare dai bambini. E che Krishna, in quel Dio ragazzo raccontato dalle Scritture,  incarna.

Ma siamo stati attratti anche da un altro testo storico davvero particolare, appartenente alla nostra tradizione, alla storia non ufficiale del Cristianesimo, bandito dal Concilio di Nicea. Si tratta degli Acta Johannis scritti intorno al 180 d.c. attribuiti a un discepolo di Giovanni, tale Leucius Charinus, che oltre a raccontare viaggi e miracoli di san Giovanni Evangelista narra un episodio accaduto in seguito all’ultima Cena in cui Gesù avrebbe chiesto ai discepoli di danzare in cerchio come atto di preghiera, tenendosi per mano e facendo movimenti in rotazione, con lui al centro che danzava e pregava, e loro che ripetevano “Amen”. L’episodio è stato  ricordato nei secoli dalla letteratura come la “Danza circolare” di Gesù. Ma come detto il testo venne bandito dalla religione ufficiale e quindi dal Concilio per un esagerato legame del Maestro col corpo che , all’epoca in cui fu preso in considerazione, contrastava troppo con l’interpretazione degli insegnamenti  che si volevano  far passare. Per un approfondimento su questo tema si rimanda a A note on the dance of Jesus in the Art of John di W.C. Van Unnik.

Per quanto ci riguarda, senza minimamente volerci addentrare nell’analisi circa l’attendibilità dell’episodio, ma prendendo il racconto da un punto di vista strettamente suggestivo e letterario, intendendolo se vogliamo come “possibilità” di preghiera, l’avvenimento ci colpisce molto. Innanzitutto perché c’è qualcosa di infantile in questo modo di intendere la danza, pieno di quella spontaneità che negli insegnamenti cristiani, poi, sono passati anche in certe parole di san Francesco. Danzare come respirare, in un gesto purissimo ma pieno di sacralità, come viene mostrato nel film Francesco Giullare di Dio di Rossellini, in cui San Francesco chiede ai suoi discepoli di danzare, di girare intorno su stessi fino a perdere  l’equilibrio,  proprio come bambini, che si lasciano andare prima di portare al mondo la parola del Maestro, e cadono a terra, abbandonandosi. In un’estasi colma di felicità.

E poi in questo racconto degli Acta Johannis ancora una volta c’è la gioia, che è la cosa che ci colpisce di più, che ci interessa di più, quella gioia di esistere che si diceva prima, spontanea, e connaturata al gesto al di là delle regole, che la danza porta con se’, nella sua natura,  che la fa’ passare come la possibilità di una preghiera cantata , libera dagli schemi. In modo tale che “essere” , in certi casi, come abbiamo visto, diventa molto simile a danzare.

matisse danza

Così, per concludere con le suggestioni di questo articolo che si è permesso più degli altri di spaziare fra i secoli e i linguaggi, ci lanciamo in un ultimo ardito collegamento che coinvolge la pittura, sempre con l’intenzione di trasmettere il medesimo sentimento. E rimandiamo  al capolavoro di Henri Matisse che nella sua Danza dipinta in due versioni fra il 1909 e il 1910 riprende il tono vorticoso, comunitario, liberatorio, festoso e catartico che la danza , quando anela ad essere spirituale, dovrebbe sempre avere.

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