Nuove ricerche. L'esempio di David Tremlett


Ancora una volta ci occupiamo di di commistione di linguaggi e di come alcuni lavori del contemporaneo si innestino su architetture antiche. In questo caso chiese o cappelle sconsacrate. E di come ormai la possibilità che hanno gli artisti di muoversi rapidamente da un angolo all’altro del mondo faccia interagire i linguaggi e le sensibilità in modo così sistematico che spesso le opere d’arte sono somme di elementi. Culture che si mischiano. Come se nel contemporaneo, ormai, non si possa prescindere dal concetto di postmoderno. Perché la contaminazione e l’idea di opera d’arte ibrida sono la regola. Il punto non è più realizzare assoluti, opere d’arte pure che abbiano l’intento come spesso in passato di tirare fuori l’essenza primigenia, ma piuttosto giocare coi generi, sia in modo orizzontale e quindi mischiando diversi stili di una stessa epoca, sia in modo verticale ossia innestando segni contemporanei su basi antiche.

David Tremlett Chiesetta di Coazzolo

E’ quest’ultimo il caso di certi lavori di wall drawing che il pittore e designer inglese David Tremlett ha realizzato in Italia, lavorando su una cappella e due chiese sconsacrate e innestandovi quel senso quasi vertiginoso di sperimentazione cromatica che rappresenta ormai il suo tratto nel mondo. Nella cappella sconsacrata detta del Barolo, a La Morra, in collaborazione con l’amico Sol LeWitt, nella chiesetta della Beata Maria Vergine del Carmine a Coazzolo in provincia di Asti e nella Cappella di San Maurizio a Santo Stefano Belbo ora trasformata in un resort, l’artista ha osato, accostando segni potenti, dalla cromìa piatta e sfolgorante, ai muri e le volte di costruzioni antiche, confrontandosi così con il concetto di sacro ma anche con certi tabù estetici che impongono, spesso comprensibilmente, il rispetto del passato.

David Tremlett Cappella di San Maurizio Santo Stefano Belbo

L’artista gioca a provocare, spiazzando, esagerando, portando al limite soluzioni estetiche. Così nei lavori di Tremlett, nato in Cornovaglia nel 1945, emerge il concetto di shock cromatico, dove le diverse campiture di colore sono accostate in modo diretto, quasi muscolare, ottenendo un effetto peraltro amplificato dai segmenti a zig zag che l’artista sceglie spesso per le sue forme. Ma la cosa veramente sorprendente è che nell’ottica di una sperimentazione così ardita gli equilibri tornino, e spesso addirittura, come nel caso della Cappella di relais San Maurizio a Santo Stefano Belbo, originariamente parte di un monastero e ora trasformato in un resort di lusso, la nota contemporanea migliori l’insieme, legando parti che originariamente risultavano troppo separate. «La prima volta che ho visitato la Cappella di Relais San Maurizio – spiega l’artista –, ho riscontrato che la volta del WHITE SPACE (nome originario dello spazio espositivo) non aveva alcun collegamento con le sue pareti. Qualcosa non aveva senso. Ora, invece, la parte superiore dell’opera ha una connessione con la struttura della volta, il colore e la forma. La parte inferiore dell’opera costituisce ora la base, la fondazione o il luogo su cui tutto si sostiene ed è circondata tutt’attorno dal colore, dalla luce e dall’aria. In mezzo c’è il nostro orizzonte, questo è il nostro OPEN SPACE».

E poi naturalmente c’è il tema, di come (e questo a prescindere da Tremlett) i luoghi di culto si possano rinnovare, di come il sacro possa esprimersi per vie meno convenzionali, magari sempre in ottica postmoderna parlando con linguaggi diversi più aderenti alle nuove sensibilità, anche da un punto di vista strettamente estetico. In un’epoca in cui la contemporaneità ha moltiplicato le proprie forme, quasi in modo impazzito, i luoghi di culto rappresentano una parte decisamente stabile, immobile, e per certi versi si potrebbe pensare esageratemente granitica. E se da una parte  questo ha senz’altro il senso di “garantire” punti di riferimento, dall’altra rischia di trasmettere alle nuove generazioni un divario troppo grande, che forse potrebbe essere colmato con l’invenzione di un alfabeto nuovo.

Con Cross ci domandiamo se non possa essere l’arte, forse la danza, magari portata in certi luoghi sacri, a colmare quella distanza, proponendo dentro ambienti particolarmente forti dal punto di vista della tradizione, ospitanti opere (dipinti e sculture) quasi sempre di un certo stile classico, un movimento libero, nuovo, spontaneo, moderno. Spiritualità e modernità si stanno parlando? La danza portata nei luoghi di culto, nelle chiese, nelle cappelle, intesa come opera d’arte volatile, di passaggio, sicuramente meno granitica,  come un anello di congiunzione inatteso fra passato e presente, fra spiritualità antica e spiritualità nuova, potrebbe essere una delle risposte in grado di avvicinare i due mondi.

David-Tremlett-Chiesetta-di-Coazzolo

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