In Tamil Nadu, in un Ashram che ancora promuove e protegge le antiche tradizioni, abbiamo assistito a un’esibizione di Kalari, l’antica arte marziale indiana, portata in scena in un teatro di terra cruda, e rappresentata, si potrebbe dire danzata, da quegli stessi guerrieri che in quello stesso teatro, scavato nella terra, si allenano quotidianamente. 

C’era il sacro in scena. Perché anche il Guruji che presiede l’Ashram partecipava alla rappresentazione e gli attori e suoi discepoli gli portavano sulla scena lo stesso rispetto che gli dedicano nella vita.

In uno spettacolo lungo e complesso che scaturisce dalla qualità degli allenamenti quotidiani degli attori, sono state messe in scene le origini mitiche della Kalari tirando fuori tutto gli elementi di fascinazione estetica e di dramma contenuti in essa. E così, rappresentata in questo modo, quest’arte marziale  diventa una sorta di danza di energia che per certi principi può ricordare il tai chi della Cina, in quanto oltre ad essere una somma di gesti marziali di attacco e difesa si trasforma in un flusso bellissimo e ininterrotto, in cui elementi di yoga e di devozione si mischiano ad atteggiamenti più decisamente marziali.

Uomini e donne si muovono con una sinuosità mai vista che si vuole esplicitamente ispirare ai movimenti e agli scatti degli animali. Abbiamo visto donne gatto, donne cobra, uomini forti, ma anche stabili e soprattutto fieri, in una disciplina e in un contesto che sembrano trasmettere l’insegnamento che non si deve avere paura di aspirare a diventare semidei. 

Da un punto di vista storico, va detto che nell’intricato tessuto delle arti marziali, poche sono avvolte da un mistero e fascino pari alla Kalari o Kalaripayattu, l’antica arte marziale in realtà originaria del Kerala, India. Con radici che si estendono fino all’ XI – XII secolo, il Kalaripayattu non è solo una forma di combattimento; è un’ode alla disciplina, alla spiritualità e alla connessione tra mente, corpo e universo.

Leggende narrano che fu Parashurama, l’avatar di Vishnu, ad insegnare il Kalaripayattu ai primi abitanti del Kerala, dopo aver creato la terra dal mare. Un’altra leggenda racconta di Ayyappa, divinità guerriera, che apprese questa arte presso il kalari di Cheerappanchira. Queste storie non solo offrono uno sguardo sulle origini mitiche del Kalaripayattu ma sottolineano anche la sua sacralità e profonda integrazione nella cultura e spiritualità del Kerala.

Il Kalaripayattu non è semplicemente un’arte di combattimento; è un percorso olistico che unisce la disciplina fisica alla crescita spirituale. La pratica inizia con il controllo del respiro e pranayama, seguiti da esercizi per la flessibilità e, infine, l’apprendimento del combattimento, sia a mani nude sia con armi, inclusi bastoni di bambù e spade. Un aspetto unico del Kalaripayattu è l’insegnamento segreto dei marmo-adi, tecniche per colpire i punti vitali, riservato solo ai discepoli più avanzati.

Infine, per quanto riguarda la connessione con la spiritualità, il Kalaripayattu condivide una profonda connessione con lo yoga e l’Ayurveda, riflettendo una visione integrata del benessere. Quest’arte insegna che un vero guerriero non cerca il conflitto ma la pace, usando le proprie capacità solo per proteggere e mantenere l’ordine. La medicina Ayurvedica gioca un ruolo cruciale nella guarigione delle ferite e nella cura del corpo, evidenziando l’importanza del benessere fisico per la pratica marziale.

Oggi, il Kalaripayattu è più che una semplice eredità storica; è un simbolo vivente della cultura del Kerala, mantenendo viva una tradizione millenaria che va oltre il semplice combattimento per abbracciare un modo di vivere che è in armonia con l’universo. È una pratica che insegna equilibrio, disciplina e, soprattutto, rispetto per la vita in tutte le sue forme.