Dove si posa la luce

Antonella Cirigliano
06.05.25

Ci sono domande che non si risolvono, ma che continuano a risuonare: chi siamo, dove siamo diretti, cosa ci muove davvero. È in questo spazio di sospensione e ricerca che si colloca il progetto CROSS, che da oltre un decennio indaga il linguaggio delle arti performative contemporanee come possibilità di incontro tra corpi, territori e spirito.

Nel 2025, questa indagine assume un tono ancora più profondo. Il tema scelto — il tono di luce — non è una semplice metafora poetica, ma un’invocazione: si tratta di interrogarsi su cosa illumina, su quali tonalità la luce può assumere quando attraversa la materia del mondo, e soprattutto su cosa lascia in ombra.

Non è solo una questione di visibilità, ma di risonanza. Come la luce, anche l’arte performativa si insinua nei margini, vibra negli interstizi, rivelando ciò che spesso sfugge allo sguardo abituale. La spiritualità, intesa non come dogma ma come tensione, come desiderio di oltrepassare il dato, torna qui a essere il punto focale: non tanto per dare risposte, ma per creare spazi in cui le domande possano risuonare insieme a chi guarda, a chi ascolta, a chi partecipa.

Alcuni artisti invitati per questa edizione incarnano proprio questa tensione: le loro pratiche si muovono tra il suono e il gesto, tra la parola e il silenzio, tra ritualità e movimento. C'è chi lavora con il paesaggio come materia viva, chi esplora le sacralità secolari del corpo, chi convoca la luce come presenza sensibile e non simbolica. In comune, c’è l’urgenza di ritrovare una forma di connessione che non sia semplicemente estetica, ma anche etica, quasi mistica nel senso più aperto e laico del termine.

CROSS, in questa edizione, non si propone solo come festival, ma come spazio-tempo di ascolto. Non spettacolo, ma rito condiviso. Non illuminazione improvvisa, ma luce che si accorda al respiro del buio.

Accanto alla consueta attenzione per il paesaggio del Lago Maggiore — mai semplice sfondo ma vero e proprio interlocutore — CROSS 2025 apre una finestra verso un altrove potente e affascinante: l’India. Non tanto come esotismo, ma come specchio e contrasto, come invito a guardare da un’altra angolazione il rapporto tra gesto e sacro. Le tradizioni performative del subcontinente, così intrinsecamente legate al mito, alla ripetizione rituale e al valore del dettaglio simbolico, entrano in dialogo con pratiche contemporanee che interrogano la spiritualità da prospettive ibride, diasporiche, decostruite.

Alcune performance in programma esplorano proprio questa tensione tra il visibile e l’invisibile. In una, il suono viene trattato come materia viva, in grado di evocare presenze; in un’altra, il corpo femminile si fa luogo di una sacralità antica e futura. Ci sono artisti che scelgono il buio come condizione percettiva privilegiata, e altri che si muovono sul bordo tra meditazione e trance, invitando il pubblico a farsi partecipe, più che spettatore.

Il camminare stesso diventa pratica artistica e spirituale. Siamo invitati a seguire il fluire dell’acqua come traccia di memoria e trasformazione. O ci addentriamo nei sentieri delle alture circostanti, dove la natura si fa interlocutrice silenziosa e complice, e lo sguardo si riabitua al dettaglio, al respiro lento del bosco. Nel cammino urbano la voce umana si fonde al paesaggio lacustre e alla ricerca di una dimora, un luogo in cui abitare anche solo per un istante. In questi percorsi, non c’è spettacolo nel senso canonico, ma piuttosto un invito all’attenzione, alla presenza, alla contemplazione.

CROSS non impone mai una visione univoca: offre piuttosto un campo d’esperienza. In questo campo, la luce non è solo ciò che illumina la scena, ma ciò che cambia tono, sfuma, accompagna, si ritrae. Un invito a guardare meglio. A restare, anche nell’incertezza. A cercare, ancora, quella vibrazione sottile che talvolta chiamiamo arte — e talvolta, senza nemmeno dirlo, chiamiamo spiritualità.

Questa curatela non nasce da un’intuizione isolata, ma si alimenta di un lungo percorso di ricerca, di ascolto e di condivisione. È il frutto delle conversazioni con i maestri, delle chiacchierate con gli artisti che hanno saputo aprire il cuore e la mente, di un dialogo profondo con i testi sacri, con le visioni di Florenskij, di Sri Aurobindo, dall’ incontro straordinario con Andrew Cohen e con le pratiche meditative che hanno orientato la mia riflessione. La ricerca è stata accompagnata dalle sadhane del Kunpen Lama Gangchen, luogo di riflessione buddista, dove ogni gesto è ricondotto a una dimensione di silenziosa attenzione.

Ognuna di queste esperienze ha contribuito a plasmare questa edizione, a conferirle un’anima e una direzione. Mi sento profondamente grata per aver potuto raggiungere questo traguardo, e per poter condividere con il pubblico e con gli artisti questa ricerca continua, che si fa ogni volta nuova e rinnovata.

AURA

Un viaggio nell’aura di pratiche e figure chiave della spiritualità e dell’arte performativa tra corpo, gesto e visione.

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